5 resultados para PROTEASE INHIBITORS

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Negli ultimi anni, un crescente numero di studiosi ha focalizzato la propria attenzione sullo sviluppo di strategie che permettessero di caratterizzare le proprietà ADMET dei farmaci in via di sviluppo, il più rapidamente possibile. Questa tendenza origina dalla consapevolezza che circa la metà dei farmaci in via di sviluppo non viene commercializzato perché ha carenze nelle caratteristiche ADME, e che almeno la metà delle molecole che riescono ad essere commercializzate, hanno comunque qualche problema tossicologico o ADME [1]. Infatti, poco importa quanto una molecola possa essere attiva o specifica: perché possa diventare farmaco è necessario che venga ben assorbita, distribuita nell’organismo, metabolizzata non troppo rapidamente, ne troppo lentamente e completamente eliminata. Inoltre la molecola e i suoi metaboliti non dovrebbero essere tossici per l’organismo. Quindi è chiaro come una rapida determinazione dei parametri ADMET in fasi precoci dello sviluppo del farmaco, consenta di risparmiare tempo e denaro, permettendo di selezionare da subito i composti più promettenti e di lasciar perdere quelli con caratteristiche negative. Questa tesi si colloca in questo contesto, e mostra l’applicazione di una tecnica semplice, la biocromatografia, per caratterizzare rapidamente il legame di librerie di composti alla sieroalbumina umana (HSA). Inoltre mostra l’utilizzo di un’altra tecnica indipendente, il dicroismo circolare, che permette di studiare gli stessi sistemi farmaco-proteina, in soluzione, dando informazioni supplementari riguardo alla stereochimica del processo di legame. La HSA è la proteina più abbondante presente nel sangue. Questa proteina funziona da carrier per un gran numero di molecole, sia endogene, come ad esempio bilirubina, tiroxina, ormoni steroidei, acidi grassi, che xenobiotici. Inoltre aumenta la solubilità di molecole lipofile poco solubili in ambiente acquoso, come ad esempio i tassani. Il legame alla HSA è generalmente stereoselettivo e ad avviene a livello di siti di legame ad alta affinità. Inoltre è ben noto che la competizione tra farmaci o tra un farmaco e metaboliti endogeni, possa variare in maniera significativa la loro frazione libera, modificandone l’attività e la tossicità. Per queste sue proprietà la HSA può influenzare sia le proprietà farmacocinetiche che farmacodinamiche dei farmaci. Non è inusuale che un intero progetto di sviluppo di un farmaco possa venire abbandonato a causa di un’affinità troppo elevata alla HSA, o a un tempo di emivita troppo corto, o a una scarsa distribuzione dovuta ad un debole legame alla HSA. Dal punto di vista farmacocinetico, quindi, la HSA è la proteina di trasporto del plasma più importante. Un gran numero di pubblicazioni dimostra l’affidabilità della tecnica biocromatografica nello studio dei fenomeni di bioriconoscimento tra proteine e piccole molecole [2-6]. Il mio lavoro si è focalizzato principalmente sull’uso della biocromatografia come metodo per valutare le caratteristiche di legame di alcune serie di composti di interesse farmaceutico alla HSA, e sul miglioramento di tale tecnica. Per ottenere una miglior comprensione dei meccanismi di legame delle molecole studiate, gli stessi sistemi farmaco-HSA sono stati studiati anche con il dicroismo circolare (CD). Inizialmente, la HSA è stata immobilizzata su una colonna di silice epossidica impaccata 50 x 4.6 mm di diametro interno, utilizzando una procedura precedentemente riportata in letteratura [7], con alcune piccole modifiche. In breve, l’immobilizzazione è stata effettuata ponendo a ricircolo, attraverso una colonna precedentemente impaccata, una soluzione di HSA in determinate condizioni di pH e forza ionica. La colonna è stata quindi caratterizzata per quanto riguarda la quantità di proteina correttamente immobilizzata, attraverso l’analisi frontale di L-triptofano [8]. Di seguito, sono stati iniettati in colonna alcune soluzioni raceme di molecole note legare la HSA in maniera enantioselettiva, per controllare che la procedura di immobilizzazione non avesse modificato le proprietà di legame della proteina. Dopo essere stata caratterizzata, la colonna è stata utilizzata per determinare la percentuale di legame di una piccola serie di inibitori della proteasi HIV (IPs), e per individuarne il sito(i) di legame. La percentuale di legame è stata calcolata attraverso il fattore di capacità (k) dei campioni. Questo parametro in fase acquosa è stato estrapolato linearmente dal grafico log k contro la percentuale (v/v) di 1-propanolo presente nella fase mobile. Solamente per due dei cinque composti analizzati è stato possibile misurare direttamente il valore di k in assenza di solvente organico. Tutti gli IPs analizzati hanno mostrato un’elevata percentuale di legame alla HSA: in particolare, il valore per ritonavir, lopinavir e saquinavir è risultato maggiore del 95%. Questi risultati sono in accordo con dati presenti in letteratura, ottenuti attraverso il biosensore ottico [9]. Inoltre, questi risultati sono coerenti con la significativa riduzione di attività inibitoria di questi composti osservata in presenza di HSA. Questa riduzione sembra essere maggiore per i composti che legano maggiormente la proteina [10]. Successivamente sono stati eseguiti degli studi di competizione tramite cromatografia zonale. Questo metodo prevede di utilizzare una soluzione a concentrazione nota di un competitore come fase mobile, mentre piccole quantità di analita vengono iniettate nella colonna funzionalizzata con HSA. I competitori sono stati selezionati in base al loro legame selettivo ad uno dei principali siti di legame sulla proteina. In particolare, sono stati utilizzati salicilato di sodio, ibuprofene e valproato di sodio come marker dei siti I, II e sito della bilirubina, rispettivamente. Questi studi hanno mostrato un legame indipendente dei PIs ai siti I e II, mentre è stata osservata una debole anticooperatività per il sito della bilirubina. Lo stesso sistema farmaco-proteina è stato infine investigato in soluzione attraverso l’uso del dicroismo circolare. In particolare, è stato monitorata la variazione del segnale CD indotto di un complesso equimolare [HSA]/[bilirubina], a seguito dell’aggiunta di aliquote di ritonavir, scelto come rappresentante della serie. I risultati confermano la lieve anticooperatività per il sito della bilirubina osservato precedentemente negli studi biocromatografici. Successivamente, lo stesso protocollo descritto precedentemente è stato applicato a una colonna di silice epossidica monolitica 50 x 4.6 mm, per valutare l’affidabilità del supporto monolitico per applicazioni biocromatografiche. Il supporto monolitico monolitico ha mostrato buone caratteristiche cromatografiche in termini di contropressione, efficienza e stabilità, oltre che affidabilità nella determinazione dei parametri di legame alla HSA. Questa colonna è stata utilizzata per la determinazione della percentuale di legame alla HSA di una serie di poliamminochinoni sviluppati nell’ambito di una ricerca sulla malattia di Alzheimer. Tutti i composti hanno mostrato una percentuale di legame superiore al 95%. Inoltre, è stata osservata una correlazione tra percentuale di legame è caratteristiche della catena laterale (lunghezza e numero di gruppi amminici). Successivamente sono stati effettuati studi di competizione dei composti in esame tramite il dicroismo circolare in cui è stato evidenziato un effetto anticooperativo dei poliamminochinoni ai siti I e II, mentre rispetto al sito della bilirubina il legame si è dimostrato indipendente. Le conoscenze acquisite con il supporto monolitico precedentemente descritto, sono state applicate a una colonna di silice epossidica più corta (10 x 4.6 mm). Il metodo di determinazione della percentuale di legame utilizzato negli studi precedenti si basa su dati ottenuti con più esperimenti, quindi è necessario molto tempo prima di ottenere il dato finale. L’uso di una colonna più corta permette di ridurre i tempi di ritenzione degli analiti, per cui la determinazione della percentuale di legame alla HSA diventa molto più rapida. Si passa quindi da una analisi a medio rendimento a una analisi di screening ad alto rendimento (highthroughput- screening, HTS). Inoltre, la riduzione dei tempi di analisi, permette di evitare l’uso di soventi organici nella fase mobile. Dopo aver caratterizzato la colonna da 10 mm con lo stesso metodo precedentemente descritto per le altre colonne, sono stati iniettati una serie di standard variando il flusso della fase mobile, per valutare la possibilità di utilizzare flussi elevati. La colonna è stata quindi impiegata per stimare la percentuale di legame di una serie di molecole con differenti caratteristiche chimiche. Successivamente è stata valutata la possibilità di utilizzare una colonna così corta, anche per studi di competizione, ed è stata indagato il legame di una serie di composti al sito I. Infine è stata effettuata una valutazione della stabilità della colonna in seguito ad un uso estensivo. L’uso di supporti cromatografici funzionalizzati con albumine di diversa origine (ratto, cane, guinea pig, hamster, topo, coniglio), può essere proposto come applicazione futura di queste colonne HTS. Infatti, la possibilità di ottenere informazioni del legame dei farmaci in via di sviluppo alle diverse albumine, permetterebbe un migliore paragone tra i dati ottenuti tramite esperimenti in vitro e i dati ottenuti con esperimenti sull’animale, facilitando la successiva estrapolazione all’uomo, con la velocità di un metodo HTS. Inoltre, verrebbe ridotto anche il numero di animali utilizzati nelle sperimentazioni. Alcuni lavori presenti in letteratura dimostrano l’affidabilita di colonne funzionalizzate con albumine di diversa origine [11-13]: l’utilizzo di colonne più corte potrebbe aumentarne le applicazioni.

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The role of mitochondrial dysfunction in cancer has long been a subject of great interest. In this study, such dysfunction has been examined with regards to thyroid oncocytoma, a rare form of cancer, accounting for less than 5% of all thyroid cancers. A peculiar characteristic of thyroid oncocytic cells is the presence of an abnormally large number of mitochondria in the cytoplasm. Such mitochondrial hyperplasia has also been observed in cells derived from patients suffering from mitochondrial encephalomyopathies, where mutations in the mitochondrial DNA(mtDNA) encoding the respiratory complexes result in oxidative phosphorylation dysfunction. An increase in the number of mitochondria occurs in the latter in order to compensate for the respiratory deficiency. This fact spurred the investigation into the presence of analogous mutations in thyroid oncocytic cells. In this study, the only available cell model of thyroid oncocytoma was utilised, the XTC-1 cell line, established from an oncocytic thyroid metastasis to the breast. In order to assess the energetic efficiency of these cells, they were incubated in a medium lacking glucose and supplemented instead with galactose. When subjected to such conditions, glycolysis is effectively inhibited and the cells are forced to use the mitochondria for energy production. Cell viability experiments revealed that XTC-1 cells were unable to survive in galactose medium. This was in marked contrast to the TPC-1 control cell line, a thyroid tumour cell line which does not display the oncocytic phenotype. In agreement with these findings, subsequent experiments assessing the levels of cellular ATP over incubation time in galactose medium, showed a drastic and continual decrease in ATP levels only in the XTC-1 cell line. Furthermore, experiments on digitonin-permeabilised cells revealed that the respiratory dysfunction in the latter was due to a defect in complex I of the respiratory chain. Subsequent experiments using cybrids demonstrated that this defect could be attributed to the mitochondrially-encoded subunits of complex I as opposed to the nuclearencoded subunits. Confirmation came with mtDNA sequencing, which detected the presence of a novel mutation in the ND1 subunit of complex I. In addition, a mutation in the cytochrome b subunit of complex III of the respiratory chain was detected. The fact that XTC-1 cells are unable to survive when incubated in galactose medium is consistent with the fact that many cancers are largely dependent on glycolysis for energy production. Indeed, numerous studies have shown that glycolytic inhibitors are able to induce apoptosis in various cancer cell lines. Subsequent experiments were therefore performed in order to identify the mode of XTC-1 cell death when subjected to the metabolic stress imposed by the forced use of the mitochondria for energy production. Cell shrinkage and mitochondrial fragmentation were observed in the dying cells, which would indicate an apoptotic type of cell death. Analysis of additional parameters however revealed a lack of both DNA fragmentation and caspase activation, thus excluding a classical apoptotic type of cell death. Interestingly, cleavage of the actin component of the cytoskeleton was observed, implicating the action of proteases in this mode of cell demise. However, experiments employing protease inhibitors failed to identify the specific protease involved. It has been reported in the literature that overexpression of Bcl-2 is able to rescue cells presenting a respiratory deficiency. As the XTC-1 cell line is not only respiration-deficient but also exhibits a marked decrease in Bcl-2 expression, it is a perfect model with which to study the relationship between Bcl-2 and oxidative phosphorylation in respiratory-deficient cells. Contrary to the reported literature studies on various cell lines harbouring defects in the respiratory chain, Bcl-2 overexpression was not shown to increase cell survival or rescue the energetic dysfunction in XTC-1 cells. Interestingly however, it had a noticeable impact on cell adhesion and morphology. Whereas XTC-1 cells shrank and detached from the growth surface under conditions of metabolic stress, Bcl-2-overexpressing XTC-1 cells appeared much healthier and were up to 45% more adherent. The target of Bcl-2 in this setting appeared to be the actin cytoskeleton, as the cleavage observed in XTC-1 cells expressing only endogenous levels of Bcl-2, was inhibited in Bcl-2-overexpressing cells. Thus, although unable to rescue XTC-1 cells in terms of cell viability, Bcl-2 is somehow able to stabilise the cytoskeleton, resulting in modifications in cell morphology and adhesion. The mitochondrial respiratory deficiency observed in cancer cells is thought not only to cause an increased dependency on glycolysis but it is also thought to blunt cellular responses to anticancer agents. The effects of several therapeutic agents were thus assessed for their death-inducing ability in XTC-1 cells. Cell viability experiments clearly showed that the cells were more resistant to stimuli which generate reactive oxygen species (tert-butylhydroperoxide) and to mitochondrial calcium-mediated apoptotic stimuli (C6-ceramide), as opposed to stimuli inflicting DNA damage (cisplatin) and damage to protein kinases(staurosporine). Various studies in the literature have reported that the peroxisome proliferator-activated receptor-coactivator 1(PGC-1α), which plays a fundamental role in mitochondrial biogenesis, is also involved in protecting cells against apoptosis caused by the former two types of stimuli. In accordance with these observations, real-time PCR experiments showed that XTC-1 cells express higher mRNA levels of this coactivator than do the control cells, implicating its importance in drug resistance. In conclusion, this study has revealed that XTC-1 cells, like many cancer cell lines, are characterised by a reduced energetic efficiency due to mitochondrial dysfunction. Said dysfunction has been attributed to mutations in respiratory genes encoded by the mitochondrial genome. Although the mechanism of cell demise in conditions of metabolic stress is unclear, the potential of targeting thyroid oncocytic cancers using glycolytic inhibitors has been illustrated. In addition, the discovery of mtDNA mutations in XTC-1 cells has enabled the use of this cell line as a model with which to study the relationship between Bcl-2 overexpression and oxidative phosphorylation in cells harbouring mtDNA mutations and also to investigate the significance of such mutations in establishing resistance to apoptotic stimuli.

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L’obiettivo della tesi è studiare il virus HIV-1 in relazione alle alterazioni sistemiche, riscontrate nel paziente HIV-infetto, in particolare alterazioni a carico del sistema scheletrico, indotte dal virus o dall’azione dei farmaci utilizzati nella terapia antiretrovirale (HAART). L’incidenza dell’osteoporosi nei pazienti HIV-positivi è drammaticamente elevata rispetto alla popolazione sana. Studi clinici hanno evidenziato come alcuni farmaci, ad esempio inibitori della proteasi virale, portino alla compromissione dell’omeostasi ossea, con aumento del rischio fratturativo. Il nostro studio prevede un follow-up di 12 mesi dall’inizio della HAART in una coorte di pazienti naïve, monitorando diversi markers ossei. I risultati ottenuti mostrano un incremento dei markers metabolici del turnover osseo, confermando l’impatto della HAART sull’omeostasi ossea. Successivamente abbiamo focalizzato la nostra attenzione sugli osteoblasti, il citotipo che regola la sintesi di nuova matrice ossea. Gli esperimenti condotti sulla linea HOBIT mettono in evidenza come il trattamento, in particolare con inibitori della proteasi, porti ad apoptosi nel caso in cui vi sia una concentrazione di farmaco maggiore di quella fisiologica. Tuttavia, anche concentrazioni fisiologiche di farmaci possono regolare negativamente alcuni marker ossei, come ALP e osteocalcina. Infine esiste la problematica dell’eradicazione di HIV-1 dai reservoirs virali. La HAART riesce a controllare i livelli viremici, ciononostante diversi studi propongono alcuni citotipi come potenziali reservoir di infezione, vanificando l’effetto della terapia. Abbiamo, perciò, sviluppato un nuovo approccio molecolare all’eradicazione: sfruttare l’enzima virale integrasi per riconoscere in modo selettivo le sequenze LTR virali per colpire il virus integrato. Fondendo integrasi e l’endonucleasi FokI, abbiamo generato diversi cloni. Questi sono stati transfettati stabilmente in cellule Jurkat, suscettibili all’infezione. Una volta infettate, abbiamo ottenuto una significativa riduzione dei markers di infezione. Successivamente la transfezione nella linea linfoblastica 8E5/LAV, che porta integrata nel genoma una copia di HIV, ha dato risultati molto incoraggianti, come la forte riduzione del DNA virale integrato.

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L'infezione da HIV-1 resta ancora oggi una delle principali problematiche nell'ambito della sanità mondiale, con circa 35 milioni di individui infetti in tutto il mondo. L'introduzione della terapia antiretrovirale combinata (cART) ha drasticamente modificato l’evoluzione di questa infezione, che da patologia a sviluppo terminale dopo alcuni anni dalla trasmissione, è diventata una patologia cronica con una lunga aspettativa di vita per i pazienti. Tuttavia, la cART non è in grado di eradicare l’infezione e nei pazienti HIV-infetti trattati è possibile notare un aumento della comparsa di comorbidità, tra le quali le più frequentemente riscontrate sono lesioni al sistema nervoso centrale, ai reni, al tessuto osseo, al fegato e al sistema cardiovascolare. I danni al sistema cardiocircolatorio derivano da una serie di concause virologiche, comportamentali, ambientali e farmacologiche che alterano la parete vascolare, il metabolismo dei lipidi e la regolazione della coagulazione, inducendo la formazione di lesioni strutturali di tipo aterosclerotico che sono alla base dell’aumentata incidenza di infarti, ictus e alterazioni del circolo osservabili nei pazienti HIV-positivi. Dalla recente letteratura è emerso come l’omeostasi del tessuto endoteliale sia regolata anche a livello delle cellule staminali mesenchimali (MSC) presenti nella parete vascolare. Per questo abbiamo voluto analizzare possibili effetti dell’infezione di HIV, delle sue proteine e di alcune molecole antiretrovirali sulla vitalità e sul differenziamento delle MSC purificate dalla parete arteriosa umana. I risultati ottenuti indicano come l’infezione da HIV e l’azione delle proteine gp120 e Tat attivino il meccanismo di apoptosi nelle MSC e una profonda alterazione nel differenziamento verso la filiera adipocitaria e verso quella endoteliale. Inoltre, alcune molecole ad azione antiretrovirale (in particolare specifici inibitori della proteasi virale) sono in grado bloccare il differenziamento delle MSC verso le cellule endoteliali. Dall’insieme di queste osservazioni emergono nuovi meccanismi patogenetici correlati al danno cardiovascolare riscontrato nei pazienti HIV-positivi.

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The aspartic protease BACE1 (β-amyloid precursor protein cleaving enzyme, β-secretase) is recognized as one of the most promising targets in the treatment of Alzheimer's disease (AD). The accumulation of β-amyloid peptide (Aβ) in the brain is a major factor in the pathogenesis of AD. Aβ is formed by initial cleavage of β-amyloid precursor protein (APP) by β-secretase, therefore BACE1 inhibition represents one of the therapeutic approaches to control progression of AD, by preventing the abnormal generation of Aβ. For this reason, in the last decade, many research efforts have focused at the identification of new BACE1 inhibitors as drug candidates. Generally, BACE1 inhibitors are grouped into two families: substrate-based inhibitors, designed as peptidomimetic inhibitors, and non-peptidomimetic ones. The research on non-peptidomimetic small molecules BACE1 inhibitors remains the most interesting approach, since these compounds hold an improved bioavailability after systemic administration, due to a good blood-brain barrier permeability in comparison to peptidomimetic inhibitors. Very recently, our research group discovered a new promising lead compound for the treatment of AD, named lipocrine, a hybrid derivative between lipoic acid and the AChE inhibitor (AChEI) tacrine, characterized by a tetrahydroacridinic moiety. Lipocrine is one of the first compounds able to inhibit the catalytic activity of AChE and AChE-induced amyloid-β aggregation and to protect against reactive oxygen species. Due to this interesting profile, lipocrine was also evaluated for BACE1 inhibitory activity, resulting in a potent lead compound for BACE1 inhibition. Starting from this interesting profile, a series of tetrahydroacridine analogues were synthesised varying the chain length between the two fragments. Moreover, following the approach of combining in a single molecule two different pharmacophores, we designed and synthesised different compounds bearing the moieties of known AChEIs (rivastigmine and caproctamine) coupled with lipoic acid, since it was shown that dithiolane group is an important structural feature of lipocrine for the optimal inhibition of BACE1. All the tetrahydroacridines, rivastigmine and caproctamine-based compounds, were evaluated for BACE1 inhibitory activity in a FRET (fluorescence resonance energy transfer) enzymatic assay (test A). With the aim to enhancing the biological activity of the lead compound, we applied the molecular simplification approach to design and synthesize novel heterocyclic compounds related to lipocrine, in which the tetrahydroacridine moiety was replaced by 4-amino-quinoline or 4-amino-quinazoline rings. All the synthesized compounds were also evaluated in a modified FRET enzymatic assay (test B), changing the fluorescent substrate for enzymatic BACE1 cleavage. This test method guided deep structure-activity relationships for BACE1 inhibition on the most promising quinazoline-based derivatives. By varying the substituent on the 2-position of the quinazoline ring and by replacing the lipoic acid residue in lateral chain with different moieties (i.e. trans-ferulic acid, a known antioxidant molecule), a series of quinazoline derivatives were obtained. In order to confirm inhibitory activity of the most active compounds, they were evaluated with a third FRET assay (test C) which, surprisingly, did not confirm the previous good activity profiles. An evaluation study of kinetic parameters of the three assays revealed that method C is endowed with the best specificity and enzymatic efficiency. Biological evaluation of the modified 2,4-diamino-quinazoline derivatives measured through the method C, allow to obtain a new lead compound bearing the trans-ferulic acid residue coupled to 2,4-diamino-quinazoline core endowed with a good BACE1 inhibitory activity (IC50 = 0.8 mM). We reported on the variability of the results in the three different FRET assays that are known to have some disadvantages in term of interference rates that are strongly dependent on compound properties. The observed results variability could be also ascribed to different enzyme origin, varied substrate and different fluorescent groups. The inhibitors should be tested on a parallel screening in order to have a more reliable data prior to be tested into cellular assay. With this aim, preliminary cellular BACE1 inhibition assay carried out on lipocrine confirmed a good cellular activity profile (EC50 = 3.7 mM) strengthening the idea to find a small molecule non-peptidomimetic compound as BACE1 inhibitor. In conclusion, the present study allowed to identify a new lead compound endowed with BACE1 inhibitory activity in submicromolar range. Further lead optimization to the obtained derivative is needed in order to obtain a more potent and a selective BACE1 inhibitor based on 2,4-diamino-quinazoline scaffold. A side project related to the synthesis of novel enzymatic inhibitors of BACE1 in order to explore the pseudopeptidic transition-state isosteres chemistry was carried out during research stage at Università de Montrèal (Canada) in Hanessian's group. The aim of this work has been the synthesis of the δ-aminocyclohexane carboxylic acid motif with stereochemically defined substitution to incorporating such a constrained core in potential BACE1 inhibitors. This fragment, endowed with reduced peptidic character, is not known in the context of peptidomimetic design. In particular, we envisioned an alternative route based on an organocatalytic asymmetric conjugate addition of nitroalkanes to cyclohexenone in presence of D-proline and trans-2,5-dimethylpiperazine. The enantioenriched obtained 3-(α-nitroalkyl)-cyclohexanones were further functionalized to give the corresponding δ-nitroalkyl cyclohexane carboxylic acids. These intermediates were elaborated to the target structures 3-(α-aminoalkyl)-1-cyclohexane carboxylic acids in a new readily accessible way.